Capita quasi per caso di tornare nei luoghi che hanno caratterizzato l'infanzia. Altre volte invece, loro sono lì, a pochi passi e tu fai di tutto per evitarli. 
Si evitano "vecchie" strade, si nascondono vecchie foto, si conservano in angoli lontani piccoli cimeli. Si tende a sotterrare i ricordi dolorosi, nella parte più profonda della memoria.. Lì, dove fanno meno male, chiusi in gabbia.
Altre volte invece, in modo molto proustiano, piccoli, preziosi ricordi affiorano "dal nulla".. sono i sensi a ripescare in modo preciso, piccole sensazioni rievocate anche da odori.. che ti riportano per pochi istanti, nell'esatto momento, in cui tempo addietro, sono accaduti. Tu resti lì, stupita, inerme, piacevolmente commossa da quel frammento di passato che sembra esser lì, tra le tue mani, per quei pochi, ma interminabili istanti. 
Capita, alcune volte, a distanza di anni, (ri)trovarsi in luoghi che sono appartenuti, che sia per pochi istanti o per qualche tempo alla nostra infanzia. E capitando lì anche per caso, sembra di essere in posti diversi, stravolti, dove tutto è cambiato e nulla è più com'è (impresso nella tua mente). 
Siamo lì da estranei, ma la nostra memoria ci permette di passeggiare proustianamente tra le pagine ingliallite dei ricordi.
Ed è in quell'attimo, in quel preciso momento che chiudi gli occhi e sei di nuovo lì, con quei profumi che sfiorano le tue narici. Ti vedi lì da bambina mentre corri tra vecchie stanze o cerchi nuovi posti.. o semplicemente attendi di essere chiamata a tavola, mentre guardi quella folla di parenti che si muove freneticamente in cucina. L'odore del ragù, che anche ad agosto è bello "tosto".. quell'aroma misto di pomodro, carne e quella punta di aglio che si diffonde per tutta la casa, mentre tutti, chiassosamente prendono posto lungo una tavola immensa, imbandita con ogni pietanza, rigorosamente calorica, come solo le pietanze della mamma e delle zie sanno esserlo.. Tutto sembra perfetto, eterno, ripetibile.. e tu sei lì, che (ri)assisti a tutto questo, con lo stesso sguardo da bambina confuso ed euforico, felice.. ma ad un tratto una folata di vento giunge decisa a schiaffeggiarti. Costringendoti a riaprire gli occhi, rompendo l'incanto.
E ti ritrovi lì, estranea. Non a casa, non al sicuro, non protetta, mentre guardi quei posti diversi, cambiati provando un senso di smarrimento.. e vuoto.
Tutto è stato distrutto. Mentre piccoli mondi sono intatti nella memoria, grazie alla sua persistenza (citando in modo un po' "contorto" il quadro di Dalì).
E mentre tu sei lì, difronte a vecchie case, vecchie strade.. Piccole pugnalate giungono dritte, precise al cuore. Le senti scorrere da un'estremità all'altra, sempre più a fondo, tutto è perduto, eccetto piccoli ricordi nella mente. Tutto è diverso. Anche tu, nonostante la tua parte da bambina sopravviva, sempre e per sempre.
Mi sono sentita spesso come Snoopy quando ho visto i luoghi della mia infanzia stravolti, diversi, cambiati. Avrei voluto restassero sempre intatti, come intatta è rimasta la bambina dentro me. Non mi resta che ripescarli nella mia memoria, sperando resti intatta e non si deteriori col tempo.
Pensando a tutto questo, mi è venuta in mente questa canzone-poesia degli Afterhours (Ritorno a casa) e all'istante in cui per la prima volta l'ho ascoltata e soprattutto al senso di dolcezza e amarezza che ho provato ascoltandola. Lo stesso senso di dolcezza e amarezza che provo dopo aver girovagato tra i ricordi.
   
 Sono nella casa dove abitavo da bambino
Riconosco ogni oggetto
La disposizione dei mobili, i colori
La luce era diversa negli anni settanta, ho riconosciuto anche quella
Ho aperto tutti i cassetti per essere sicuro che in tutti questi anni nessuno
Abbia toccato la mia roba
C'è un'intera brigata dell'esercito britannico li dentro
Rosa
Sono ancora intenti a schierarsi per fronteggiare l'attacco imminente
Ma l'attacco non avverrà mai
Il divertimento per me era disporre i soldatini come se dovessero affrontare un ingaggio particolare,
e poi, senza che nulla avvenisse, cambiare la disposizione
Sono ancora lì come li avevo lasciati venticinque anni fa
L'ufficiale ha il braccio teso davanti a se mentre sta per prendere la mira
la testa piegata verso l'alto mi guada implorante: "Vado?".
Ho richiuso il cassetto
Ho setacciato tutta la stanza in cerca di quello che avevo lasciato
Ho trovato tutto meccanicamente come se non avessi bisogno di ricordarne la posizione
Devo aver fatto un bel casino perchè mia madre è entrata
Giovane e bellissima
Rideva
Mi ha preso in giro
Una strana calma, una calma enorme
Non so cos'è
Ma non ho mai pianto tanto come al risveglio
Ho rifatto il percorso che mi portava dalla scuola alla casa dei miei
La prima volta dpo venticinque anni
C'è una sensazione che non ho mai più provato
Non abito più lì da sempre
Ho avuto una vita
Altrove
E' solo una stupida villetta con uno sputo di giardino, ma sarà la prima cosa che comprerò
Quando sarò ricco
Forse è per colpa di quella bambina che mi sono innamorata della "Recherche" di Proust la prima volta, che a scuola, tanto tempo fa ormai, il mio adoratissimo prof ne lesse uno stralcio in classe. Percepii un senso di magia e coinvolgimento.. come se le distanze tra me e Proust non esistessero per il semplice fatto che io riuscivo a comprendere nel profondo quelle stesse sensazioni.
Ed è per quello che appena è stato possibile, quel libro è arrivato, nella mia libreria, ed ora è lì in attesa che il mio umore lo scelga.. perchè tutto è particolare nella mia mente, c'è un tempo per ogni cosa, è il mio umore a scegliere i libri.. e il tempo della "Recherche" stà arrivando.
Nel frattempo, leggendo questo stralcio di capolavoro, rievoco quella mattina di qualche anno fa, quando per la prima volta, Proust entrò nella mia vita, per restarci. 
Non è il massimo come "versione", ma ne vale la pena.
"Una sera d’inverno, appena rincasato, mia madre accorgendosi che  avevo freddo, mi propose di prendere, contro la mia abitudine, un po’ di  tè. Dapprima rifiutai, poi, non so perché, mutai parere. 
Mandò a  prendere uno di quei dolci corti e paffuti, chiamati maddalene, che  sembrano lo stampo della valva scanalata di una conchiglia di San  Giacomo. E poco dopo, sentendomi triste per la giornata cupa e la  prospettiva di un domani doloroso, portai macchinalmente alle labbra un  cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato inzuppare un pezzetto della  maddalena. Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino  toccò il mio palato, trasalii, attento al fenomeno straordinario che si  svolgeva in me. Un delizioso piacere m’aveva invaso, isolato, senza  nozione di causa. E subito, m’aveva reso indifferenti le vicessitudini,  inoffensivi i rovesci, illusoria la brevità della vita...non mi sentivo  più mediocre, contingente, mortale. 
Da dove m’era potuta venire quella  gioia violenta? Sentivo che era connessa col gusto del tè e della  maddalena. Ma lo superava infinitamente, non doveva essere della stessa  natura. Da dove veniva? Che senso aveva? Dove fermarla? 
Bevo una  seconda sorsata, non ci trovo più nulla della prima, una terza che mi  porta ancor meno della seconda. E tempo di smettere, la virtù della  bevanda sembra diminuire. E’ chiaro che la verità che cerco non è in  essa, ma in me. E’ stata lei a risvegliarla, ma non la conosce, e non  può far altro che ripetere indefinitivamente, con la forza sempre  crescente, quella medesima testimonianza che non so interpretare e che  vorrei almeno essere in grado di richiederle e ritrovare intatta, a mia  disposizione ( e proprio ora ), per uno schiarimento decisivo. 
Depongo  la tazza e mi volgo al mio spirito. Tocca a lui trovare la  verità retrocedo mentalmente all’istante in cui ho preso la prima  cucchiaiata di tè. 
Ritrovo il medesimo stato, senza alcuna nuova  chiarezza. Chiedo al mio spirito uno sforzo di più...ma mi accorgo della  fatica del mio spirito che non riesce; allora lo obbligo a prendersi  quella distrazione che gli rifiutavo, a pensare ad altro, a rimettersi  in forze prima di un supremo tentativo. Poi, per la seconda volta, fatto  il vuoto davanti a lui, gli rimetto innanzi il sapore ancora recente di  quella prima sorsata e sento in me il trasalimento di qualcosa che si  sposta, che vorrebbe salire, che si è disormeggiato da una grande  profondità; non so cosa sia, ma sale, lentamente; avverto la resistenza e  odo il rumore degli spazi percorsi...
All’improvviso il ricordo è  davanti a me. Il gusto era quello del pezzetto di maddalena che a  Combray, la domenica mattina, quando andavo a darle il buongiorno in  camera sua, zia Leonia mi offriva dopo averlo inzuppato nel suo infuso  di tè o di tiglio."
 
Piccola perla: Stralcio letto con Debussy in sottofondo.  Buon ascolto a chi avrà la voglia di intraprendere questo "viaggio".